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Il ruolo del cibo nella relazione genitore- bambino


Quando parliamo di cibo non ci riferiamo soltanto all’insieme di quei nutrienti che permettono di far funzionare il nostro organismo e, quindi, garantiscono la nostra sopravvivenza, ma il cibo è anche un universo di significati emotivi, affettivi, relazionali e sociali che in esso sono
coinvolti e implicati.
Quindi, se ci soffermiamo sul rapporto del bambino con il cibo, esattamente come accade per noi adulti, non possiamo non considerare il ruolo che il cibo gioco all’interno delle relazioni significative per il bambino: in particolare nella relazione con il genitore.


Chiaramente il ruolo giocato dalla madre nell’alimentazione del piccolo è, per natura, primario, ma questo non significa che anche il papà non svolga un ruolo altrettanto significativo e determinante nella relazione del bambino con ciò che lo nutre.
Nel momento in cui il bambino si allontana progressivamente dal seno/dal latte per avvicinarsi ai cibi solidi, attraverso l’avvio dell’alimentazione complementare (pappe, omogeneizzati, etc.) inizia a percepire una certa distanza fra sé e la mamma. Di fatto, lo svezzamento, rappresenta
una prima separazione significativa dalla mamma, seconda per il momento, solo a quella della nascita.
Nonostante questo, per il bambino continua ad esserci un chiaro collegamento fra alimentazione e figura materna, in quanto la madre, o chi la sostituisce, è la fonte primaria del nutrimento (fisico ed emotivo). Infatti, l’appetito che il bambino manifesta ha sempre un doppio significato: quello di soddisfare la fame fisica e quello di appagare la fame emotiva e affettiva.
Nel campo dell’alimentazione, quindi, madre e bambino si confrontano continuamente, sperimentano e costruiscono la loro relazione.


Come sarà già capitato di notare a molti genitori, i bambini segnalano già dai primi approcci all’alimentazione con cibi solidi di avere delle preferenze rispetto al cibo e, se da un lato è giusto proporre loro sempre nuovi alimenti e farglieli sperimentare, allo stesso tempo è
consigliabile rispettare il disgusto di un bambino verso un determinato cibo, non forzandolo a mangiarlo per forza.
Inoltre, un altro aspetto interessante, è che i bambini sono perfettamente in grado di sentire riconoscere il segnale di fame e di sazietà, quindi di auto-regolarsi: abilità che, spesso, viene persa mano a mano che crescono, se, per esempio, il genitore impone come regola quella di finire tutto ciò che hanno nel piatto, indipendentemente dal fatto che il bambino si senta sazio
o meno.


I bambini iniziano a conoscere e a sperimentare i vari cibi esplorandoli, prima ancora che attraverso il gusto, attraverso il tatto. Il cibo viene visto come un gioco, ed è proprio attraverso il gioco che il bambino mette in atto l’esplorazione e l’apprendimento.
E’ fondamentale, quindi, lasciare spazio alla sperimentazione del cibo che, gradualmente, diventerà non più solo simbolo del legame tra lui e il genitore, ma anche del loro distacco e quindi della progressiva autonomia del piccolo.
Proprio per questo il bambino potrà manifestare un atteggiamento ambivalente nei confronti del cibo, mostrando ora apprezzamento e curiosità, ora rifiuto e indifferenza, rendendolo metafora e riflesso della relazione con il genitore.


L’esperienza dei capricci a tavola: che cosa sono effettivamente i “capricci” e che significato hanno?


I capricci a tavola sono un argomento molto noto ai genitori e piuttosto “caldo”, che mette a dura prova la loro pazienza e fa spesso innalzare il loro livello di stanchezza.
Per questo cercheremo di approfondire il tema e di fornire alcune indicazioni pratiche utili per i genitori.
Ma prima di vedere insieme come gestire i capricci e come ridurli, dobbiamo capire che cosa siano effettivamente i “capricci”: solo attraverso la consapevolezza di ciò che i capricci rappresentano e significano è possibile mettere in atto strategie efficaci per gestirli.

Solitamente con il termine “capriccio” ci riferiamo, in generale, ad un comportamento oppositivo manifestato dal bambino, che si esprime con pianti, grida, urla incontenibili e un generale atteggiamento di rifiuto. Spesso il capriccio scatta per un motivo apparentemente banale, come per esempio volere o rifiutare un determinato cibo oppure non voler stare a
tavola etc.
Questo è ciò che appare al genitore e a qualunque adulto si trovi di fronte un bambino che fa un “capriccio”.
In realtà, al di là della manifestazione visibile, il “capriccio” è il risultato di un bisogno insoddisfatto che genera nel bambino un forte senso di frustrazione, ma che lui non riesce a gestire (questo perché la corteccia prefrontale, cioè la parte del cervello deputata alla regolazione delle emozioni, non è ancora pienamente sviluppata nel bambino).
Pertanto, il pianto inconsolabile, lo scatto di rabbia sono tutti messaggi che il bambino manda all’adulto per segnalare il suo disagio del momento, per richiamare in qualche modo la sua attenzione e chiedergli aiuto.

Quindi, in sostanza, il capriccio del bambino non è mai fine a se
stesso,
non è da considerare una forma di “tirannia” pura. C’è sempre un messaggio che il bambino sta comunicando e che chiede di essere espresso, ascoltato e accolto.


Intorno ai 2-3 anni i capricci si intensificano in modo particolare e non è un caso: infatti, in questa fase dello sviluppo, il bambino fa degli enormi progressi da un punto di vista cognitivo, linguistico, motorio e sociale, che lo porteranno progressivamente ad una maggior autonomia. Entusiasmato dai suoi stessi progressi, dalle nuove scoperte ed acquisizioni, egli
cerca di sperimentare, di mettersi in gioco e di scoprire sempre di più il suo mondo e se stesso.
Ecco perché, quando il piccolo si scontra con i limiti e le regole che, comprensibilmente, il genitore gli pone, può sentirsi frustrato nel suo desiderio di indipendenza e di “fare da solo”, esplodendo in manifestazioni “capricciose”.

E’ nota ai genitori la fase del “no” , “mio” che compare sempre fra i 2 e i 3 anni: anche in questo caso, è come se il bambino volesse affermare la sua autonomia e indipendenza e rivendicare la propria libertà, perché inizia a rendersi conto di essere un’entità separata dal genitore e quindi a percepirsi con una sua identità, unica e indipendente.


Quali messaggi possono nascondersi dietro ai “capricci” di un bambino?


“Ho bisogno di autonomia” (come abbiamo visto sopra)
“Ho bisogno di sentirmi un soggetto attivo della mia vita”. Il bambino necessita di sentirsi riconosciuto nelle proprie emozioni, nel suo modo di pensare e di vedere il mondo, nei suoi desideri.
“Ho bisogno di un segno del tuo amore perché in questo momento non mi sento sicuro” (può accadere in concomitanza di un lutto, una separazione, l’arrivo di un fratellino, un trasloco, il cambio di stanza)
“Ho bisogno di capire quanto potere ho nella mia relazione con l’adulto.
“Ho bisogno di capire quanto potere ha la mamma/il papà nella relazione con me. Ho bisogno di limiti, di regole, di contenimento”: attraverso il capriccio il bambino comunica la necessità di un contenimento emotivo, di confini (regole) chiari, coerenti che gli permettano di sentirsi al sicuro.
“Ho bisogno di capire se la mamma/il papà è sufficientemente solido e capace di sostenermi” . Percepire il genitore come troppo fragile, può risultare angosciante per il bambino che, come reazione, può assumere atteggiamenti “tirannici” e capricciosi.


Perché molti capricci scattano proprio a tavola?


La tavola è un campo di azione perfetto in cui il bambino non solo sperimenta e scopre, ma può esprimere il suo desiderio crescente di autonomia e di indipendenza e, inoltre, può segnalare quei bisogni che abbiamo menzionato sopra, soprattutto quando percepisce il valore
che il momento del pasto ha per il genitore.
Sente che il genitore è completamente concentrato su di lui, forse più che in altri momenti della giornata. Ecco perché proprio a tavola scattano, spesso, i capricci più intensi.
Può accadere, infatti, che il bambino rifiuti il cibo, abbia scatti d’ira o crisi di collera anche piuttosto violente, che mettono a dura prova i genitori. Può succedere che il bambino lanci il
cibo per terra o lo spalmi in ogni dove: faccia, capelli etc. Può accadere che il bambino prentenda giochi e TV durante il pasto. E chi più ne ha più ne metta.


Come abbiamo detto prima, nel momento in cui il bambino sperimenta la frustrazione di non poter raggiungere un determinato obiettivo o di non vedere realizzato un desidero o, ancora, di sentirsi costretto a fare qualcosa che non vuole (per es. mangiare un cibo che non gli piace), ecco che scatta in lui la rabbia (che non sa ancora auto-regolare e gestire) e la reazione
“capricciosa”. Il genitore, da parte sua, nel vedere rifiutato il cibo (rimanendo nell’esempio), può avvertire come una sorta di rifiuto del bambino nei suoi confronti, sperimentato una frustrazione interna e conseguente nervosismo. Si instaura, quindi, ad una sorta di “braccio di ferro” tra genitore e bambino, che spesso termina, ahimè, con una buona dose di esasperazione e di ulteriore frustrazione per entrambi.

Come fare?

Innanzitutto è importante che il genitore sia rassicurato dal fatto che questi atteggiamenti sono del tutto fisiologici e frequenti nei bambini: non sono il risultato di “errori educativi” o di “traumi” che il bambino ha subito, ma semplicemente fanno parte del suo processo di sviluppo
e di crescita.
Possiamo dire che hanno una loro ragion d’esistere.
Il punto è essere aperti e pronti coglierne i significati, senza giudicarli (e senza giudicare se stessi!), ma accogliendoli per quello che sono e agendo in modo consapevole per contenerli.

Alcuni consigli pratici sulla gestione dei capricci

  • Per calmare il bambino è importante che tu per primo sia calmo: è fondamentale ritrovare la calma e non entrare subito in ansia/tensione di fronte al capriccio, altrimenti la tensione non farà che aumentare ancora di più. Prima di tutto riconosci,
    accorgiti, dai un nome all’emozione che il bambino sta suscitando in te con quel capriccio (mi accorgo che mi sta irritando/innervosendo/mettendo in ansia), poi fai dei
    respiri consapevoli, oppure intrattieni un dialogo interiore con te stesso e poi cerca di “lasciar andare” quell’emozione.
  • Prova a sintonizzarti con l’emozione del bambino, facendoti sentire vicino, dicendogli che capisci che è arrabbiato e che potrete trovare insieme una soluzione, pur mantendendo le regole che hai stabilito. Fallo sentire compreso e accolto anche in quel
    momento di massima frustrazione per lui.
  • Se rifiuta il cibo, accetta il suo rifiuto. Non forzare e fare pressioni, non costringerlo a finire tutto ciò che ha nel piatto, evita il braccio di ferro per paura che tuo figlio non si nutra abbastanza: il bambino è in grado di riconoscere il segnale di fame e sazietà e, se ad un pasto mangia meno, sarà naturalmente portato a recuperare a quello successivo.
    Potrai provare a riproporgli quel cibo in un’altra occasione, magari preparato in modo
    diverso.
    Si mangia perché si ha fame, si smette perché si è sazi. Per cui, abbi fiducia nel tuo bambino.
  • Permettigli di esplorare il cibo con le mani, di manipolarlo e portarlo alla bocca: fa parte del processo di esplorazione e di scoperta.
  • Rinuncia ai ricatti emotivi (se non mangi questo allora la mamma,il papà, la nonna piange/si arrabbia etc.), darebbe spazio all’emergere di inutili sensi di colpa nel bambino e alla perdita del vero valore del cibo.
  • Rinuncia ad utilizzare il cibo come premio o punizione: è una strategia inefficace, soprattutto nel lungo periodo, e il rischio è di arrivare a considerare il cibo un mezzo di contrattazione e non più quello che è realmente, ovvero una fonte di nutrimento.
  • Evita la TV a tavola: rischia di distrarre eccessivamente il bambino, impedendogli di
    percepire e di distinguere il senso di fame e di sazietà.
  • Dai l’esempio: i bambini apprendono per imitazione dei comportamenti degli adulti.
    Quindi se ti vedrà mangiare a tavola, utilizzando le posate in un certo modo, apprezzando il cibo e sperimentando varie tipologie di alimenti, sarà portato a fare altrettanto.
  • Coinvolgilo nella preparazione dei pasti, magari facendogli assaggiare qualcosa, e nell’apparecchiatura della tavola.
  • Fallo sedere con voi a tavola e rendilo partecipe, in modo che si abitui e apprezzi l’atmosfera conviviale
  • Chiedi pareri sui cibi e preferenze sui piatti, in modo che possiate predisporre pietanze allineate anche con i suoi gusti
  • Varia il menu settimanale, gioca con i colori e l’aspetto del cibo in modo da aumentare le probabilità che sperimenti altri alimenti e non si annoi.
    Ma soprattutto: NON tormentarti con pensieri auto- critici che ti portano a domandarti se stai facendo le cose “giuste”, se sei un bravo genitore etc. e lascia andare il senso di colpa, che puoi
    presentarsi quando perdi la pazienza di fronte al capriccio.
    Piuttosto, ricorda che sei umano/a, che gestire i bisogni di tuo figlio è un allenamento continuo, che necessità di pazienza e perseveranza, ma non certo di perfezione!